Le regole su chi può raccogliere il diritto d’autore in Italia vanno riscritte

Sulle regole per la raccolta del diritto d’autore in Italia piove una tegola dal Lussemburgo. Una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito che le norme nazionali rappresentano “una restrizione alla libera prestazione dei servizi che non è né giustificata né proporzionata”. Detto altrimenti: non sono compatibili con il diritto dell’Unione. E quindi l’impianto che prevede che, oltre a Siae, in Italia possano raccogliere il diritto d’autore solo organizzazioni di gestione collettiva (Ogc), di fatto associazioni e cooperative, e non per le entità di gestione indipendente (Egi), le società private, non sta in piedi.

Da domani, fatti i compiti a casa, le società private che vorranno operare in Italia potranno farlo. Un nome su tutti: Soundreef, startup londinese fondata da Davide D’Atri, che nel frattempo per adeguarsi alle norme nazionali ha dovuto creare un’associazione dei suoi assistiti per affiancarli in Italia: Lea, acronimo per Liberi editori e autori.

L’Odissea del diritto d’autore in Italia

La raccolta del diritto d’autore in Italia è una faccenda ingarbugliata. Fino al 2016 è tutto in mano a Siae, la Società italiana autori ed editori, che si occupa di tutelare le opere di ingegno dal 1882. Quell’anno si affaccia sul mercato Soundreef, che dopo la raccolta per musica dal vivo e playlist dei negozi, decide di entrare nei settori radio, televisione, internet e fonomeccanico, cioè la stampa dei dischi. È la fetta più consistente della torta. Secondo la società, l’Italia deve mettersi in regola con una direttiva del 2014, la 26 anche nota come Barnier, dal cognome dell’allora commissario europeo al mercato interno (Michel Barnier). La norma prescrive di liberalizzare la raccolta dei diritti d’autore, che vale, dati di Bruxelles, 6 miliardi di euro ogni anno.

Quando Roma decide di adeguarsi, lo fa a metà. Il mercato diventa libero solo per le cosiddette organizzazioni di gestione collettiva (Ogc) e non per le entità di gestione indipendente (Egi). In parole semplici, le prime sono enti senza scopo di lucro, come Siae, ma anche cooperative o società, che non siano però sotto il controllo degli assistiti. Le seconde, invece, sono le società private che decidono di dedicarsi al business della raccolta dei diritti per conto terzi. Soundreef è una Egi, stando alla norma italiana, e quindi nonostante il braccio di ferro con Siae, è messa all’angolo dalle norme nazionali. Per questo fonda Lea.

Dopo il biennio di fuoco 2016-2017, Siae depone le armi e riconosce il ruolo di Lea. Ma, tempo pochi mesi, è scoppia un altro caso. Quello di Jamendo, società lussemburghese che si occupa di radio in store. Per operare in Italia, avrebbe dovuto comunicarlo preventivamente all’Autorità garante delle comunicazioni (Agcom), ma non lo fa. E Lea nel 2022 la porta davanti al tribunale di Roma. A quel punto i difensori di Jamendo sollevano un’eccezione, portando la pratica alla Corte di giustizia dell’Unione europea. I legali si chiedono se la direttiva Barnier contempli l’opzione di riservare la raccolta del diritto d’autore in un Paese solo agli Ogc, come Lea, escludendo le Egi, come ha stabilito l’Italia. Soundreef, patrocinata nella difesa dall’avvocato Giovanni Maria Riccio, dello studio legale E-Lex con la socia Adriana Peduto e il collega Dario Malandrino, di fatto non si è opposta alla tesi di Jamendo davanti ai giudici del Lussemburgo.

Le conseguenze della sentenza

In una nota la Corte osserva che la legge italiana “costituisce una restrizione alla libera prestazione dei servizi. Sebbene tale restrizione possa in linea di principio essere giustificata dall’imperativo consistente nel tutelare i diritti di proprietà intellettuale, essa non è proporzionata poiché preclude in modo generale e assoluto a qualsiasi entità di gestione indipendente stabilita in un altro Stato membro di svolgere la sua attività nel mercato di cui trattasi. La Corte sottolinea che misure meno lesive della libera prestazione dei servizi consentirebbero di conseguire l’obiettivo perseguito. Di conseguenza, la Corte rileva che la normativa italiana contestata non è compatibile con il diritto dell’Unione.

Su LinkedIn D’Atri ha commentato: “Questo rappresenta non solo una vittoria significativa per Soundreef ma anche un passo avanti fondamentale per i diritti degli autori, compositori ed editori in Italia e in tutta Europa. Dopo anni di impegno per promuovere un ambiente di mercato più inclusivo ed innovativo, celebriamo oggi il riconoscimento della necessità di un mercato liberalizzato che accolga le entità private. Questa decisione è un chiaro segnale che il futuro della gestione del diritto d’autore è orientato verso l’innovazione, offrendo ai titolari dei diritti opzioni di gestione migliorate”. Oggi Soundreef rappresenta 43mila tra autori, compositori ed editori (di cui 26mila in Italia) e dal primo gennaio è autorizzata a raccogliere i diritti nel Belpaese per conto di Sesac, tra le più grandi società di gestione al mondo. Nella scuderia di D’Atri ci sono nomi come Gigi D’Alessio, J-Ax, Laura Pausini, Ultimo, Alejandro Sanz, Sfera Ebbasta, Giancarlo Bigazzi, Maurizio Fabrizio, Takagi&Ketra e Federica Abbate. Mentre Sesac rappresenta, tra gli altri, Bob Dylan, Neil Diamond, Kurt Cobain, Axl Rose, i Green Day, David Crosby e Ariana Grande.